miércoles, 20 de enero de 2010

la mia ultima volta











Ciò che rende questa esperienza magnifica è la consapevolezza che non si ripeterá mai più nella mia vita, perchè credo che mi imporró di non tornare per rispettare un ricordo e in qualche modo iniziare a dare una dignità reale alla mia memoria random. Troppe cose in troppo poco tempo, a volte ho la sensazione di non riuscire a trattenere niente – un’immagine, un flash qualunque, una sensazione - di attraversare e circolare e poi dimenticare o non saper ripescare con precisione i ricordi che cerco, e forse ho bisogno di tempo, forse soltanto di fare spazio dimenticando, deframmentando. Certo è che, nonostante il sottile e lento revisionismo che può permettersi la nostra mente, il corpo non sa mentire e registra registra registra, così gli restano addosso le giornate di bicicletta e trekking nel Valle Sagrado de los Incas, la fatica e lo sforzo, la velocità e la pioggia, l’adrenalina, e ho presto il sospetto che sarà finita se penso di non farcela, quindi canto - fischio del vento che crivella il mio poncho di plastica sbrindellato e una melodia poco intonata - mi afferro al manubrio e a PJ Harvey perchè è un giorno di pioggia e nuvole pesanti, mi rifiuto di guardare lo strapiombo di tremila metri sul vuoto che si apre a intermittenza a sinistra e a destra, mentre scendo veloce una sequenza infinita di tornanti su una strada stretta e il cielo m’infilza le sue gocce in faccia, quando passo in mezzo a una nuvola e smetto di avere paura soltanto perchè smetto di vedere. Tutto diventa bianco, improvvisamente. Ma paura non è la parola giusta. E’ adrenalina pura se riesci a convertire il terrore di cadere in una pura fiducia nel tuo istinto di sopravvivenza – sei nelle tue mani adesso - e scopri una piccola e meschina gioia nel pericolo di morire, per cui sorridi e molli i freni, il vento ti passa attraverso and they came to the river, in loop lungo le curve. Respirare piano e concentrarsi, schivare le buche e aumentare velocità per attraversare le cascate che si riversano sulla strada, per evitare che ti trascinino di sotto, sentire che la paura è una piccola garanzia di morte per cui smettere di permettersela, semplicemente. Poi piccoli sacrifici e maledizioni sussurrate mentre suona la sveglia delle tre del mattino e hai davanti una salita di tre ore fino alla vetta del Wayna Picchu, praticamente un kilometro in verticale per poi riscendere e risalire e riscendere. Ma nulla, giuro, nulla è paragonabile a quello che vedi e senti da lassù, quando ti stendi con la schiena sulla pietra bagnata e gelida e il vento si fuma insieme a te una sigaretta di tabacco e Meraviglia.