lunes, 22 de febrero de 2010

EVOLUCIONÁ, MONO!











A Buenos Aires la vita di una donna che crede nella parità dei sessi a volte è decisamente dura, perchè in questa città l’uomo medio ce la mette proprio tutta per palesare la sua inferiorità evolutiva di fronte al gentilsesso, e ogni occasione è buona per gridarti dietro mi amooooor (amore mio n.d.t) qué cola tenés!! (che culo che hai!! N.d.t.) vení que te chupo toda (questa non ve la traduco nemmeno) il tutto senza aver registrato la tua faccia (o il tuo culo), improvvisando versi da ipertermia genitale, e soprattuto agendo senza l’intenzione di dirigersi direttamente a te, quanto agli altri sapiens che l’accompagnano, e questo apprezzamento ha qualcosa di emetico, è un’incomprensibile autoelogio della natura maschile di fronte alla merce che avanza.

Inutile dirlo, mi disgusta.

Mi disgusta ma cerco di fingere imperturbabilità zen perchè agli albori del mio arrivo nella capital federal mi aggiravo per le avenidas inferocita, gridando qualunque genere di aberrazione in risposta e calandomi nelle fogne della cultura solo per fargli sentire addosso almeno un granello di tutto il mio fastidio. Poi, però, mi assaliva l’impressione di aver sbagliato strategia, di aver assecondato il loro gioco dandogli peso, facendolo esistere, ed ecco puntuale quel familiare, piccolo rimorso tellurico alla bocca dello stomaco - vani zero in condotta, again.

Poichè viviamo nel paese dei paradossi, i lord di cui sopra sono gli stessi che ti aprono la porta quando entri al ristorante, che ti cedono il loro posto sull’autobus e tendono la mano per aiutarti a scendere, manco fossi un subumano involuto che ha bisogno di assistenza constante per non svanire nella biosfera, e la cosa piú imbarazzante è che le donne (anzi, le donne medie) tendono a sentirsi adulate da tutto ciò, e vi assicuro che il contagio è fatale se persino a una come me ieri è scivolato via un sorriso quando un grupo di muratori appesi a impalcature piú che precarie ha improvvisato una serenata corale per la strada, e posso pure preoccuparmi quando passando a fianco a qualcuno tutto tace, e mi chiedo se c’è qualcosa che non va, se mi sono strisciata l’eyeliner sulla guancia, mi scopro a indagare il motivo di quel mutismo sbirciandomi nelle vetrine dei negozi e – inevitabilmente – penso di stare seriamente rimbecillendo.

ps. nella foto: un mono nerd.

viernes, 19 de febrero de 2010

l' e n t r o p i a







Tutto ha un costo, ve ne sarete accorti. Credo che questo fenomeno – o qualche suo corollario che non saprei spiegare bene perchè durante le lezioni Bezzecchi-Fiozzi sonnecchiavo o mi dedicavo a una fervida attività epistolare coi colleghi di turno- in qualche caso prenda il nome di entropia, una parola tanto bella quanto oscura per noi umanisti, ma che fa pensare a una naturale e ineliminabile tendenza alla perdita dell’ordine, alla sua irraggiungibilità in termini assoluti, al passare un panno sporco su un tavolo per pulirlo e come risultato pulire il tavolo sporcando il panno. Tutto ha un costo, appunto, e in uno dei pochi momenti in cui devo aver aperto gli occhi o interrotto la mia attività amanuense nelle lezioni di cui sopra, ho imparato a fidarmi di Lavoisier, iniziando a sospettare che fosse un po’ superbo credere di poter creare o distruggere qualcosa per davvero. Tutto si trasforma, invece. Punto. A qué viene todo esto? Non lo so mai prima di finire, quindi intanto scrivo e poi vedremo.

Le strade notturne e i wáter sono in assoluto i migliori set per pensare e illuminarsi, e in una di queste occasioni (non vi dirò quale) mi sono scoperta meno vulnerabile / piú cinica, poi meno idealista / piú disillusa, meno stressata / piú pigra, meno interessata ad ottimizzare il mio tempo in un rush senza riflessione (il famoso treno su cui si sale y chau) / piú capace di godere dei dettagli, di dedicare un po’ di tempo e meraviglia a un frullato al mango, leggendo Cortázar spalmata su un’amaca al sole australe mentre voialtri battete i denti sotto metri di neve (ma sono certa che abbiate le vostre ragioni per.) e soprattutto meno capace di criticare / piú propensa a stupirmi dell’unicità di ogni cosa. Sono convinta che ogni trasformazione positiva si porti dietro (o dentro?) un’involuzione, che il lato b di ogni scelta sia una rinuncia e che no, non ce la faremo a evitare i morti sul campo o l’entropia dell’universo, non c’è progresso in termini assoluti perchè tutto si trasforma soltanto, e questa metamorfosi avviene sempre e solo in termini relativi.

L’entropia-secondo-me sarà pure un pensiero da Quilmes e alpargatas, ma è un ottimo start per smettere di esigersi cose eccessive e poi frustrarsi e diventare infelici, sotterrarsi di condizionali e finalmente spegnersi pensando se avessi, se soltanto.

(Però è un pensiero da alpargatas, ne convengo.)

ps. per chi non lo sapesse, alpargatas è il nome locale del francese "espadrilles", alias espadrillas.

domingo, 7 de febrero de 2010

come, scusa?



Oscilliamo tra il sapere e il capire e il sapere e il capire e il capire e il sapere e. Poi torniamo indietro. A volte sembra che imparare sia un’illusione, o forse una strategia valida nell’immediato presente e lì soltanto, poi scorre un po’ di tempo sulle nostre storie e tutto vola via in un baleno o semplicemente si dirada ad libitum, progressivamente, si dissolve in una nuvola bianca, una lampadina che si spegne. E il buio è il lato visivo del nuovo zero, ma è un inizio già cominciato mollato ripreso, la sensazione di un libro di cui abbiamo letto mille volte le prime cinquanta pagine, eppure ancora ci stupisce non ricordare la fine.