jueves, 30 de diciembre de 2010

Todavía no había pasado nada, y sin embargo ya me estaba adelantando la agonía del post, las consecuencias de la entrega completa a la Intensidad, al viejo carpe diem, a esas actitudes que en el momento te sientan bárbaro, pero luego el efecto se termina y quisieras apretar fast forward, taparte los ojos para no ver lo que sigue o rebobinarlo todo y volverlo a vivir una vez y otra, hasta darte cuenta de que te estás perdiendo el presente entre tanto loop de pasado, entonces sentirte estúpido por haberte quedado tanto en una dimensión irreal, y no te darás cuenta de que estás otra vez equivocado, el error en el error como una matrioska de equivocaciones, porque en ese sueño está la semilla de algo que – si no es real –al menos es más sincero, aunque cueste creerlo, darle una forma.

Es que mientras sueño estoy viviendo el pico máximo de realidad. Cuando me entrego a la ausencia de consecuencias y me armo un pasado que amaré recordar en futuro (ese presente que luego odiaré vivir) y sin embargo sé que vale más este deslice de un extremo a otro que la lenta deriva hacia el centro, hacia el elogio mismo de la nada o esas formas de irrealidad o ausencia que llamamos seguridad, estabilidad, equilibrio.

Nunca quise entregarme a una vida de planta. Tal vez por esto no sé como terminar el día, y menos aún esta frase.

Pero está claro que el final llega trágico porque el comienzo es tan violento y total, ya que con este pretexto de la intensidad terminamos agotando todo en el preámbulo, incluyendo el epilogo en la introducción porque algo (¿una delicada forma de arrogancia?) nos sugiere que ya conocemos la historia, que vale más leer la primera y la ultima página y usar el tiempo que nos queda para ir a tomar vino en un bar del barrio.

Y sin embargo el contenido no son los hechos, sino los detalles y la forma, probablemente la manera misma de contar la historia, y eso lo estamos perdiendo por apuro. Vivimos con el mantra hay tiempo y atravesamos el día a día apretando skip the intro hacia el final. Como si fuera eso lo importante.

jueves, 23 de diciembre de 2010

Lui fa il sostenuto perchè è questo il suo dovere ma ieri ha quasi pianto mentre camminava per strada sotto la pioggia fine, con una musica triste nelle orecchie e troppi accordi minori underneath the chilly grey november sky. Gli è venuto in mente all’improvviso – si era promesso di non pensarci, concentrarsi su altro, ma queste cose sono cosí, guardi di lato e ogni faccia, ogni pietra, ogni atomo ti riporta dritto verso il centro – ci ha pensato come qualcosa di altamente improbabile, e chissà perchè ha ricordato la consistenza dei suoi capelli. Ha provato a ricostruire il suo odore e non c’è riuscito, ha provato a visualizzare il suo corpo ma è emerso un collage di antiche associazioni e vecchi personaggi, finchè ha provato a ricostruire i suoi movimenti ed ecco un saluto troppo lungo l’ultima volta che si erano visti, un abbraccio al lato di un semaforo che diventò verde, poi rosso, poi verde, poi rosso di nuovo. Non sapeva che sarebbe stata l’ultima. Cos’avrebbe fatto se l’avesse saputo? Probabilmente avrebbe stretto piú forte cosí l’avrebbe persa piu in fretta, invece l’aveva lasciata andare convinto che il giorno dopo, o quello dopo ancora (è stato lí, sul SI minore di Wendy’s going to die, che ha sentito un occhio liquefarsi, ma il tutto è durato il tempo di un cambio di accordi, poi si è ricomposto e ha continuato a camminare)

martes, 21 de diciembre de 2010

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C’è un momento - un luogo della mente o una dimensione che si apre solo per un istante, come lo Stargate, e non puoi nemmeno scegliere se attraversarlo o no perchè ti muovi su un tappeto rotante, o forse è soltanto la terra intera che avanza tutta insieme con noi sopra, e a pensarci bene non è nemmeno la terra ma il tempo, e pare ci sia sempre un prima e un dopo ma io ho scelto di non credere nel tempo lineare, per me non ci dovrebbe essere né prima né dopo ma soltanto una lenta metamorfosi uniforme e radicale, un eterno mutare che avanza come un organismo coordinato, un animale con un cervello diverso in ogni cellula e – nonostante questo – riesce a camminare, pensa cose sensate, è piú della somma delle sue parti il tutto senza essere cosciente del suo mutare o del tempo, della trasformazione. Respira, certo, ma non c’è volontà nella sua ricerca d’aria. Lo fa come una pianta, perché-è-cosí-che-deve-andare, libero dal peso della consapevolezza, libero dal bisogno di spiegarsi e spiegare, di inventare parole e lingue per verbalizzare quello che trova quando si guarda dentro, spiegarlo agli altri organismi come lui, similissimi e diversi, tutti uniti dai sensi – sempre meno affidabili, sempre meno persistenti - e dalle parole – sempre meno esatte, sempre meno .

Ma c’è un momento – questo è innegabile, sottile, di un’evidenza perversa – in cui tutto ciò che conosci smettere di essere ciò che era, ciò che fu, diventa ciò che è, almost ciò che sarà, e il punto non è vivisezionare il percorso per piantare una bandierina sulla soglia di passaggio, il punto è sapere della nostra cecità assoluta mentre lo stiamo attraversando, capire che siamo sotto lo Stargate e quando saremo giunti dall’altra parte tutto quello che abbiamo conosciuto e capito e amato avrà smesso di essere come l’abbiamo conosciuto e capito e amato – e allora ci sarà un attimo di smarrimento prima di guardarci intorno e tornare a conoscere e capire e amare di nuovo, e cosí ad libitum, hasta que se nos acabe el tiempo, finchè non ci saranno piú Stargate da attraversare o mondi nuovi – nuove configurazioni di mondi antichi, da imparare e in cui credere.

sábado, 18 de diciembre de 2010

silence is sexy

Esta enfermedad de hablar mucho sin decir nada. Cada situación en la que te metés, cada charla, cada discusión, cada explicación conlleva la necesidad de usar miles y miles de palabras para dar forma a una ausencia - precisamente la ausencia de lo que se quiere poner en palabras, como si al decirlo se activara su presencia - y al final no decir nada sin llegar a la nada misma, a una forma pura de ausencia, sino quedándose en la repetición de un tentativo (el mismo y no a la vez) como un loop de acciones para intentar llenar-el-vacío, y sin embargo no hay vacío tout court, a lo mejor sólo hay miedo al vacío y - más acá - nosotros, asíncronos y desafinados, cumpliendo el esfuerzo constante para ser entendidos como queremos, pero luego hay infinitos registros y orejas y niveles y matices, además de líneas de aire a los lados de tu cabeza y un reloj atado a la muñeca.

La mejor solución es el silencio.
(O el chocolate amargo)

subte babasónico

Quanta magia sulla metro, quando ascolti in cuffia la tua canzone preferita del giorno e di colpo il tipo seduto a fianco a te, parlando col vicino, inizia a battere le mani a tempo, senza saperlo.

Es decir, la persona in questione sa che sta battendo le mani a tempo, ma le sfugge quale sia il tempo. Saperlo è certamente qualcosa di cui può fare a meno, ma io ora?
Cosa me ne faccio di questa sincronia?

Saberlo entenderlo decirlo. Et voilà la verità.

"Olvidemos todo de una vez.
Hagamos un trato que podamos sotener, al menos un rato."

sábado, 11 de diciembre de 2010

La lentitud com un estar en les coses per assumir-ne encara mès el ritme

E' che mi permetto uno stand-by, ma non sono sicura di saper vivere cosí.
Ci vuole abilità. Pazienza, soprattutto.

In questo periodo (un periodo in cui mi faccio rubare ogni cosa e riesco a perdere un aereo arrivando all'aeroporto 3 ore prima del volo) si mormora una legge che regola gli opposti. Piacere e dolore sono direttamente proporzionali. Per il Buonsenso la vita è un'operazione a somma zero, in cui l'intera gamma del sentire ripiega su un equilibrio nel centro, dove non esistono picchi né baratri ma solo trasparenza e silenzio, solo quiete.

E' una di quelle speculazioni con cui anem tirant, non c'è modo di dimostrarlo. Eppure non mi stupirei se tra 5 o 50 anni ci attaccassero cavi e sensori e spine alle tempie e ai polsi al momento della nascita, e misurassero cosí questo equilibrio emozionale, +1 per il "bene", -1 per il "male" e cosí via fino alla morte (lenta e dolorosa: -1) o al suicidio (razionale, sereno, ragionato: +1) per vedere se realmente la lancetta torna sullo zero.
Ma quante dimensioni esistono tra lo 0 del punto e l'1 della linea? Elevare la variabile a un numero "con la virgola" non può rappresentare la crescita di un albero? Perchè vene e rami e fiumi si somigliano? Riusciremo a metterci d'accordo su cosa sia il bene e cosa il male?
Forse finalmente le dicotomie ci staranno strette e manderemo tutto all'aria.
Le spine, i cavi, il buonsenso, e questa tragica ricerca di equilibrio.

Ieri ero seduta al bar, scrivevo. A fianco a me la frase
"La lentitud com un estar en les coses per assumir-ne encara mès el ritme"

martes, 7 de diciembre de 2010

Hay que reinstalarse en el presente.

Un poco como el silencio de toda la música, y la verdad que te habla al oído cuando no intentás buscar el orden, el desorden, cuando vivís sin intentar explicarlo todo, todo el tiempo, y andas por la calle mirando para arriba y sintiéndote más liviano cuando una hoja de otoño cae volando en círculos y se te pega a la cara.

Con un reloj atado a la muñeca, todo puede ser increíblemente siniestro.

Me contás la historia de tu vida y no le veo nada tuyo ahí, nada exclusivo, hay como una liviana universalidad en tu mundo que es todos los mundos, en tu presente que es todos los presentes.
L'assenza. Lavorare intorno all'assenza. Costruire intorno all'assenza. L'assenza come centro e motore, la ausencia en todas sus formas, en todos sus perfiles, en todas esas caras que pasan a los lados de tu cabeza y desvanecen, cerca y lejos al mismo tiempo.
La cagada es que no nay nada más mentiroso que la sinceridad, sometimes.

Y esta necesidad de escaparse de los racionalismos, de los reduccionismos, de los ismos, la tentativa de devolver al mundo su complejidad ¿No será en sí una admisión de debilidad? ¿La declaración de una carencia? ¿Un manifiesto de la ausencia?

Por supuesto, si no te sacás la hoja de los ojos te vas a tropezar con algo en cualquier momento. Y sin embargo, el mundo que se abre con la ceguera es otra mirada, otra historia. Vos mismo, sos otra persona. No sé si llamarla "identidad", hoy me gustan las cosas light y la identidad me espanta, me acuerda de DNI y pasaportes y denuncias de robo y colas infinitas en las oficinas públicas. Es peso, gravedad. Pero hay algo ahí. Una de esas cosas que las palabras pulverizan si intentan definirlo, algo que solo nos permite acceder tangencialmente, livianamente.