martes, 27 de octubre de 2009

bloody sunday bloody









pic by natalia lipovetzky


Sì, dev’essere questa la ragione che ci unisce adesso, la nostra solitudine disarmata, la mancanza di un odio o un amore (ne abbiamo così bisogno), questo viscerale aggrapparci a una giovane amicizia tessendola con l’ordito delle assenze improvvise e la trama di un vuoto ancora umido. Restiamo così ore, condividendo qualcosa di un po' parziale e intenso al tempo stesso, stese come foglie cadute sul tetto di un enorme edificio proprio a fianco all’autostrada, fissando il cielo in movimento, ascoltando le auto in movimento – e noi lì, immobili – circondate da torri premature e grattacieli, una timida macchia color smeraldo in frammenti tra le costruzioni e un fiume blu che è quasi oceano lì dove la Città Infinita termina. L’orizzonte è un po’ il contorno della nostra immaginazione, borderline tra la realtà concreta e le continue supposizioni, loop di speranze e aspettative e speranze e aspettative e, un quadrato segreto di cemento rossastro e di assoluto e poi la lontananza, intorno, quel vuoto così palpabile che ci consuma la pelle come il sole zenitale all’ora della siesta.

Accompagna la mia notte nella 303, due poltrone e il vento, la mia perenne sigaretta spenta nel bicchiere di vetro e l’attesa che me lo dica – un po’ di speranza – la nitida consapevolezza che non abbia senso sperare perché è passato troppo tempo – eppure – il mio pendere da quel no che ancora non prende forma, i suoi giri di parole per non farmi male, la mia domanda diretta e quel bicchiere di veleno cosparso di miele lungo i bordi che mi fa bere mentre imbottisce i fatti per attutire la mia caduta, sospirando.