jueves, 6 de agosto de 2009

la necedad juvenil













Ieri notte decisi di consultare l'I-Ching, questo dopo aver insultato tutti i miei conoscenti che vi ricorrono con frequenza per capire come interpretare decisioni e annessi. Non c'è niente di magico, credo, sempre che non vogliamo considerare tale quel potente grado di lucidità autoindotta nel dare un senso a strofe così semanticamente sconfinate e metaforiche. Pur vergognandomi profondamente, posi una domanda che ti riguardava, vagamente, vagamente perchè non volevo ammettere a me stessa cosa stessi chiedendo, ma dentro di me quel punto interrogativo era così nitido che avrei potuto ricostruire l'intera geografia del suo percorso logico ed emozionale.
Tirai le tre monete sei volte.
Esagramma risultante:
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L'immaturità giovanile, altrimenti detto l'ignoranza fanciullesca.
Fuck.

||| Pedalo instancabilmente ascoltando i Santogold senza capire bene perchè mi piacciano (per giunta vergognandomene abbastanza), schivo bondi assassini e taxi senza mani, a volte imbambolandomi a fissare il sole sempiterno di Buenos Aires, ed ecco che briciole di quella dolorosa sensazione che chiamiamo felicità mi assalgono così, e non so bene cosa farmene, lì sul cemento liscio, le due ruote senza mani, completamente alienata dalla musica, distante anni luce dagli insulti dei taxisti e dalle grida oscene dei muratori che mi osservano passare dalle altezze vertiginose delle loro precarie e pericolosissime impalcature, non so bene cosa farmene, mi acchiappa così e non mi sento mai abbastanza preparata, ma ha poi senso esserlo? E non so dove infilarla quella sensazione, le ruote, i raggi, la strada, i Santogold, sento che non c'è posto per compiacersene e mi rende triste, l'amarezza di queste istantanee di felicità che si dissolvono sull'asfalto, la loro dolcezza, mi amareggia terribilmente|||

Ti dipinsi quella fotografia con le parole, quasi a memoria, e mi guardasti negli occhi, credo per la prima volta in due anni (e lì – lì nel puro smarrimento – li ho trovati un pò grigi, un pò verdi, un pò indefiniti ma troppo glaciali per continuare a indagare) e mi aspettavo un sorriso o uno sguardo compiacente a validare il mio pittoresco sforzo di farmi capire in questo caos di lingue e codici e sensazioni che si accumulano e deteriorano e fossilizzano con troppa fretta per poter essere ricordati. Invece distolsi lo sguardo e -senza sorridere- sussurrasti qué pendeja, e quell'etichetta la potevo a malapena distinguere tra la mia immaginazione e le sue aspettative, i clacson sovrapposti e le nuvole nere del microcentro porteno, eppure continuò a rimbalzare nel mio cervello per le due cuadras successive, qué pendeja, due isolati di silenzio e rumore in cui attivare una modalità riccio e scomparire, qué pendeja, e poi abbandonarti alla fermata dell'autobus e sgommare via esattamente come nella foto di cui sopra.

Pendeja, pensavo pedalando, e non riesco a riesumare una traduzione degna nella mia lingua (pischella, forse?) se non il giro di parole di una bambina un pò incosciente e naive, un composto di innocenza e stupidità, di immaturità giovanile e fanciullesca ignoranza e...un momento...
Fuck.