jueves, 6 de agosto de 2009

La soledad non è mai così potente quando non c'è nessuno intorno, è come se si amplificasse quando è solo una sensazione che ci abita la testa più che un'evidenza che (non) ci circonda. Forse è per questa ragione che le piste da ballo spesso si trasformano in luoghi di pura solitudine da sublimare in luci intermittenti, musica che annulla l'ascolto dei propri pensieri e magari un bicchiere di orrendo fernet con cola a dare l'estrema unzione al tutto.
Forse un sabato (ora che non ho più un orario d'ufficio, i giorni e le date si mischiano con irrimediabile confusione), diciamo un sabato passato, ballavo su una pista piena di ricordi e ogni ricordo si muoveva sull'elettronica dei Djs Pareja, restando intrappolato nella sua piccola porzione di pavimento, e c'era questa rete che pendeva su di noi, questa rete sulle nostre teste fatta di corde bianche e nodi e figure asimmetriche e scomposte, e noi le afferravamo, ci ingarbugliavamo, ci sacrificavamo dentro. A volte qualcuno si muoveva con troppa fretta, si impigliava, a volte qualcun'altro tirava il nodo sbagliato e la figura scompariva, e tu lì nel mezzo, il tuo corpo stritolato da un poligono di corda bianca su una pista da ballo, con il mondo intorno che ride e chiude gli occhi sulla musica, si muove, e poi a volte si dissolve. Non lo sapevo in quel momento, non sapevo di star vivendo dentro un'immagine così evocativa e metaforica nel suo frenetico fluire, ma ripensandoci adesso mi piacerebbe averla filmata e poterla mandare in loop a rallenty, senza alcun rumore, proiettarla in una stanza vuota nel più completo buio e silenzio, la pista e il movimento, le corde bianche, i nodi e la prigionia, io legata in una forma senza nome e tu lì vicino, in una vicinanza così impenetrabile da non essere quasi più parte di quella metafora, scivolando fuori da essa e dalle sue figure astratte in cui era chiaro che non ci fosse nessuna corda da toccare e nessun nodo da stringere per calamitarti e averti nella mia porzione di pista, per cannibalizzare i tuoi pensieri urlandoti nel cervello il discorso del tempo e poi voler morire per averlo fatto. Mi sta bene così in fondo, chiudo gli occhi e godo delle involontarie vibrazioni dello sterno sui bassi, quel familiare e corporeo brivido che accompagna la solita sensazione di pura solitudine tra la folla.